In tempo di guerra by Concita De Gregorio

In tempo di guerra by Concita De Gregorio

autore:Concita De Gregorio [Gregorio, Concita De]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2019-11-12T16:00:00+00:00


Da Marco a sua madre.

2008.

Madre. Non pretendo che tu mi risponda. Sono certo che non lo farai. Non so neppure se apri le mie lettere, se ti arrivano. Potresti persino non sapere che ti scrivo. Immagino che mio padre selezioni la posta, è lui il padrone.

Questo non mi impedisce di continuare a parlarti. Anzi. A maggior ragione, direi. Parlo da solo, come sempre. Ti parlo e tu non mi ascolti. È un esercizio che conosco dall’infanzia. Mi è toccato un mondo alla rovescia. Sono i figli, quando crescono, che non parlano alle madri. Io non ho fatto che aspettare che tu crescessi. Chissà adesso quanti anni hai. Dodici, dieci? Il tuo tempo cammina all’indietro. Eri una donna libera a sedici anni, vivevi da sola, amavi chi volevi, non ti spaventava nessun pericolo, abitavi da chi ti ospitava. Non negare, non mentire, non ti stupire che lo sappia. Lo so dal nonno, che parla poco, è vero, ma se insisti parla. Io insisto, e poi lui con me ha sempre parlato. Era con voi che stava zitto. Una volta durante uno dei suoi sermoni – «pensi di essere in una gabbia, ma fuori da questa gabbia ci sono gli squali» – mio padre si è lasciato scappare che tu eri un’artista senza futuro, quando eravate nel mondo. Ma che artista? Dipingevi, suonavi, recitavi? A che arte ti sei dedicata? Io ho visto solo di sfuggita, una volta, il rotolo di cartone pieno dei disegni che andavate a vendere: tu, sempre nuda, disegnata da qualcuno famoso. In un ritratto hai un neo in mezzo agli occhi, ma tu non hai nei in faccia. Un neo disegnato con la matita. Posavi, dunque? Eri una modella? Vivevi di questo, ti pagavano per questo? Eravate scappati da casa, facevate la rivoluzione. Andavi anche tu alle riunioni clandestine? Hai partecipato alle azioni di guerriglia? Avevi un’arma, madre? Tu sai usare una pistola? Non so. Eri sempre dentro casa con la testa china su un compito domestico, in silenzio. Un’anima scura, un’ombra. Non ho mai sentito una tua opinione, non ti ho mai vista rispondere a nostro padre, prendere le difese dei figli, evitarci una punizione. Mai. Non dicevi niente. Non ci hai mai domandato: come state? Pretendevi la nostra pulizia, che ci lavassimo e ci vestissimo in modo ordinato. Poi niente, poi basta. Sparivi. Eri libera a sedici anni, e sei diventata schiava a trenta. Non ho mai visto gioia, in te, in quella che nostro padre chiama la sottomissione gioiosa a cui le donne sono tenute. Proprio nessuna gioia.

Comunque. Ti scrivo per chiederti di mantenere una promessa. Pensaci. La tua religione te lo impone. Devi farlo. Mi dicesti, una volta, che avresti cercato e mi avresti dato una foto di tua madre, mia nonna: ripetevi che le somigliavo. Non me l’hai mai data. Ho domandato al nonno, ha risposto che sono rimaste tutte nella casa di Palermo. Dice che giú in Puglia non ne ha. Mi ha confessato che è vero, che anche la nonna era esile e bionda come me.



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